L'oro etrusco di Orvieto

09 Aprile 2019L'oro etrusco di Orvieto

Orvieto è un'isola immersa nel verde che tinteggia in primavera le vallate del Paglia e del Tevere, un bastione di tufo sul quale si eleva il Duomo, come posto da una mano gigante tra le strette vie e le piazze medioevali a ornamento della città. Il contrasto profondo tra la policromia dei marmi e il tono bruno dei palazzi in tufo e dei costoni della rupe rende ancor più maestosa e potente l'immagine che si coglie. Quello che non appare è una rupe crivellata da caverne naturali: se ne contano circa milleduecento, sfruttate per millenni come cave di materiale da costruzione e come risorsa per l'acqua e la produzione di vino. Sono utilizzate ancora oggi, rinnovando a ogni vendemmia un legame ancestrale e indissolubile.

Desta grande stupore calarsi nelle profondità del pozzo di San Patrizio, un'opera rinascimentale che ha in parte inglobato una caverna naturale. Ma più che con l'acqua, Orvieto ha da sempre un legame stretto con il vino. La coltivazione della vite e la produzione di vino risalgono all'epoca etrusca, come attestano | celebri affreschi delle tombe Golini, raffiguranti un banchetto con brocche di vino in primo piano, o il nome stesso della città etrusca Velzna, che ha assonanza con il termine vina, “‘vigneto”’. La fama del vino di Orvieto era grande fin dai tempi antichi, e si protrasse in epoca medievale e rinascimentale grazie a vescovi, cardinali e papi che soggiornarono nella città o nei dintorni. Negli anni in cui la città fu residenza pontificia, fusti del celebre vino erano spesso inviati a Roma, destinati a personaggi di rilievo, tanto che meritarono l'epiteto di “vino dei papi”. Colpisce trovarlo espressamente richiesto nei contratti di lavoro per la costruzione del Duomo come forma di pagamento. Nel 1496 l'Opera del Duomo concede al Pinturicchio ‘“sei quartenghi di grano per ogni anno... e il vino necessario”. Nel Cinquecento, per la realizzazione degli affreschi della Cappella di San Brizio, l'Opera è tenuta a consegnare a Luca Signorelli ogni anno dodici some di vino (circa mille litri). E alla fine del Seicento la fama del vino di Orvieto è espressa in modo sagace nella petizione presentata per voce di Pasquino a papa Paolo V Borghese, in occasione dell'inaugurazione dell'acquedotto romano all'Acqua Marcia: “Il miracolo è fatto, o Padre Santo, / con l'acqua vostra che ci piace tanto; / ma sarebbe portento assai più lieto, / se l'acqua la cangiaste in vin d'Orvieto”.

Una reputazione riconosciuta e resa possibile grazie al luogo, la rupe con le sue caverne, fondamentali per la produzione del vino seguendo un metodo ancora incredibilmente attuale. La pigiatura avveniva nella “cava” più in superficie; successivamente il mosto era lasciato cadere nella porzione inferiore e al termine della fermentazione spostato nella parte più profonda della grotta, sfruttando la forza di gravità, per una maturazione al fresco e al buio. È probabile che proprio questo sistema abbia reso così celebre il vino di Orvieto in epoche remote. Una fermentazione mai completamente conclusa porta nel tempo alla versione amabile, che identificava questo vino nel mondo, con quel leggero residuo zuccherino che per decenni ha contraddistinto l'Orvieto. La prima tangibile presenza della‘“muffa nobile’ è certificata dal professor Giorgio Garavini, ispettore generale del Ministero dell'Agricoltura e delle Foreste: nel 1931 delimitò la zona di produzione del vino di Orvieto, sottolineando che il tipo abboccato era il più apprezzato e diffuso. Un vino “color giallo oro pallido, limpido, con profumo aggraziato molto rassomigliante a quello di uva fresca, con abbondanza di eteri, sapore soavemente dolce, con retrogusto leggermente amarognolo come di mandorla, frizzante per l'anidride carbonica prodotta da lenta fermentazione”, per molti paragonabile ai Sauternes francesi, ma senza il tipico sapore di zolfo.

Il nesso botrytis cinerea e territorio orvietano trova conferma anche nella consueta versione amabile di questo vino: si effettuava una doppia vendemmia, che lasciava in pianta una piccola porzione di uve, per avere una riserva zuccherina. Ne II libro d'oro dei vini italiani, uno dei primissimi cataloghi del vino italiano, Cyril Ray ricorda che raramente l'appassimento avveniva in cantina, nel fruttaio, e solo per le aziende che acquistavano uve e non avevano vigneti di proprietà. In tutti gli altri casi, la permanenza in pianta fino a una vendemmia tardiva, in un contesto naturalmente predisposto, portava alla comparsa della muffa nobile.

La consapevolezza che si possono creare vini dolci interamente da uve attaccate da questa muffa prende vita negli anni Settanta e si concretizza nel 1981 con la prima bottiglia, la Pourriture Noble di Decugnano dei Barbi. Negli ultimi anni la produzione si è affermata e sono numerose le aziende che propongono questi vini, con stili e filosofie differenti: c'è chi utilizza solo le uve tradizionali, grechetto e trebbiano, e chi quelle internazionali più adatte, come sauvignon, sémillon, traminer e altre ancora. Dal 201 | il disciplinare di produzione dell’Orvieto, l'unico in Italia, prevede una tipologia “Muffa Nobile" con le medesime varietà della versione secca e amabile, ossia trebbiano toscano (o procanico, come è chiamato localmente) e grechetto per almeno il 60 per cento. Possono concorrere altri vitigni a bacca bianca fino a un massimo del 40 per cento. Le diverse basi ampelografiche consentono di produrre vini all'interno del disciplinare, oppure di orientarsi sulla normativa meno restrittiva dell'Igt Umbria.

La zona di produzione è abbastanza estesa e si sviluppa in direzione nord-sud per circa quaranta chilometri, e da ovest a est per una decina.

In questo spazio, che comprende anche una porzione del Lazio, l'area centrale, con la città di Orvieto proprio nel mezzo, acquisisce la definizione di Classico, Nella valle longitudinale creata dal torrente Ritorto e dal fiume Paglia, che verso sud confluisce nel Tevere, le caratteristiche ambientali portano alla costante presenza della botrite, Un versante a ovest della vallata si allunga fino al monte Peglia e al monte Citernella, separati dal lago di Corbara, un invaso artificiale che disegna uno scenario naturalistico di rara bellezza e contribuisce a caratterizzare il microclima dell'area. Il versante occidentale ha un andamento collinare, più morbido: lo sguardo spazia dai monti Cimini fino al lago di Bolsena, i terreni, nonostante l'impronta fortemente vulcanica, sono abbastanza differenziati; l'attività magmatica è successiva all'emersione di epoca pliocenica, fase in cui si sono formati terreni sedimentari di origine marina decisamente argillosi, che nella parte nord disegnano scenari calanchiferi anche con presenza calcarea. A sud della città i terreni sono più ricchi di sabbie, e nei dintorni del lago di Corbara la grandissima presenza di sabbie lascia affiorare una miriade di fossili marini. Nel Pleistocene, con lo stiramento della crosta terrestre che ha originato una linea vulcanica dalla Toscana alla Sicilia, si formano terreni vulcanici legati alla fase eruttiva del complesso dei Vulsini, principalmente pozzolane e tufì. La successiva fase erosiva li ha facilmente abrasi, riportando alla luce il terreno sottostante di epoca più antica. Oggi sono rimaste terre vulcaniche solo a sud di Orvieto, nel tratto che si allunga verso il Bolsena e i monti Cimini.

In tema di vini muffati, il pensiero corre immediatamente ai Sauternes francesi, anche se l'origine dei vini botrizzati è ungherese e la loro scoperta è legata alla zona del Tokaji. Già nel 1523 Paracelso citava il vino da uve botritizzate come “l'oro ottenuto dalle muffe”. Nel 1641 fu emanata la prima legge che regolamentava la produzione del vino ungherese. Solo, si fa per dire, nel 1660 nella zona di Sauternes | primi documenti lasciano pensare a vini dolci con queste caratteristiche. Il termine ‘muffa nobile” è utilizzato per la prima volta nel 1729 da Pier Antonio Micheli nella monografia Nova plantarum genera.

La botrytis cinerea si sviluppa sui grappoli in particolari condizioni climatiche, come alta umidità e scarsa ventilazione. Generalmente lo sviluppo di questo fungo porta a un peggioramento sanitario e qualitativo dell'uva, con conseguente perdita del raccolto.

Nell’Orvietano l'autunno è nebbioso, e da un momento all’altro ci si trova immersi in un mare che attutisce ogni cosa; spuntano come isole le sommità delle colline, da cui si scorge il cielo terso e luminoso. La buona ventilazione in un clima caldo e secco già poche ore dopo l'alba dissolve e asciuga l'umidità della notte. Nei mesi di ottobre e novembre questa alternanza è costante, grazie alle nebbie e alla rugiada mattutina che innalzano il grado di umidità. Lo sviluppo del fungo ne risulta favorito, ma in maniera limitata, ed ecco che quest'ultimo evolve in forma larvata all'interno dell'acino, dando vita al miracolo enologico dei muffati orvietani. La botrytis cinerea non ha uno sviluppo omogeneo sul grappolo, e si presenta in tre diversi stadi: inizialmente l'acino è sferico, dorato, con piccole macchie scure, indizio dei primi attacchi. Poi la bacca assume una colorazione bruna o rosa-violacea, l'acino inizia a raggrinzire e c'è la completa incavatura;

la botrite degrada la buccia, senza tuttavia penetrare a fondo nella polpa. Nell'ultimo stadio, detto anche “confit”, l'acino assume una tonalità marrone scuro e un aspetto rugoso, reso a volte poco invitante da uno strato di micelio esterno più o meno sottile. Per i perfezionisti questa coltre, ben diversa dallo sviluppo degenerato e abnorme della muffa grigia, deve essere leggermente ‘pelosa’, sottile e omogenea. Con questo livello di botrytizzazione i risultati sono straordinari e le sensazioni gustative e aromatiche di incomparabile finezza.

Lo stadio di evoluzione è il risultato di due fenomeni simultanei: l'azione della botrytis in forma larvata e la contemporanea disidratazione dell'acino. La prima degrada gli acidi organici, gli zuccheri e attacca la buccia, assottigliandola, accelerando così la disidratazione grazie a una più rapida evaporazione dell'acqua contenuta nella polpa. Il fungo consuma zuccheri abbondantemente; pertanto, se insieme alla sua azione non ci fosse il simultaneo effetto dell'appassimento, si otterrebbe una concentrazione troppo bassa per una produzione significativa. Dalla degradazione degli zuccheri si formano diverse sostanze, soprattutto il glicerolo, che raggiunge la sua massima concentrazione prima che il micelio si sviluppi esternamente. Quando il micelio è esterno, la muffa riduce anche del 70 per cento l'acidità dell'acino, degrada l'acido tartarico e malico, e si producono molti elementi che poi si rifletteranno sul profilo aromatico come un marchio di fabbrica, attraverso note di zafferano e di medicinale, soprattutto nella piena maturità evolutiva. Recentemente i ricercatori dell'Università di Davis, guidati da Dario Conto, hanno dimostrato come questa muffa modifichi il metabolismo delle uve a bacca bianca con la produzione di nuovi sapori e aromi, inducendo processi che normalmente si verificano solo durante la maturazione delle uve rosse. La ricerca, pubblicata sulla rivista “Plant Physiology”, ha confermato che la riprogrammazione del metabolismo dell'uva botritizzata determina l'accumulo di quei composti chiave dell'aroma e del gusto che rendono così speciali questi vini.

Muffato della Sala 2014 CASTELLO DELLA SALA
sauvignon 60%, grechetto 25%, sémillon 5%, traminer 5%, riesling 5% - 12,5% vol.

La tenuta umbra della famiglia Antinori ha sempre creduto nella vocazione di questa terra alla produzione del muffato. Oggi la considerazione universalmente riconosciuta premia l'intuizione e l'abnegazione necessaria per produrre questo vino. L'azienda si trova a metà strada tra la valle del Paglia e il monte San Venanzo, nella parte nord della denominazione. Nei vigneti limitrofi ai boschi, su terreni argilloso-sabbiosi, l'habitat è ottimale per lo sviluppo della muffa.

Il colore dorato è straordinariamente luminoso. Un caleidoscopio di profumi al naso racconta di una vendemmia perfetta. Registri olfattivi di miele con le tinte della frutta tropicale disidratata sposano ricordi di buccia di arancia e zafferano. Note di mimosa e di ginestra si fondono alle suggestioni di timo disidratato e rosmarino. Più sottili i ricordi di vaniglia, iodio e pirite. AI palato è un trionfo di freschezza e dinamicità, perfettamente raccordate in una suadente morbidezza, con la dolcezza contenuta che infonde carattere allo sviluppo gustativo. Il finale sapido- minerale rende autorevole la persistenza, interminabile. Fermenta in barrique e vi sosta per 6 mesi, poi affina per 3 anni in bottiglia.

Orvieto Classico Superiore Muffa Nobile Calcaia 2015 BARBERANI
grechetto 80%, procanico 20% - | 1% vol.

Niccolò e Bernardo hanno ereditato un grande impegno: questa storica azienda ha sperimentato negli anni Settanta la via dei vini muffati a Orvieto e sono inimmaginabili le energie necessarie per mantenere fede all'incarico morale ricevuto. Sulle colline sabbiose e argillose a sud del lago di Corbara il microclima è eccellente, e a ogni vendemmia si rinnova il miracolo del Calcaia.

Veste i colori dell'ambra purissima, dalla iridescente luminosità. Corredo odoroso ricco e leggiadro: è un susseguirsi di essenze diverse, che rievocano la pesca, il mango e il cedro candito, con incursioni di miele d'arancio, sensazioni vegetali e fiori essiccati. E ancora uva sultanina, caramella d'orzo e crema pasticciera, poi richiami di pepe e zafferano, con un tocco di camomilla e cannella. Il sorso è composto e avvolgente, la dolcezza rimane nel perimetro dell'equilibrio, la freschezza e la decisa sapidità accompagnano verso una lunghissima persistenza che svela una lieve astringenza, rendendo la chiusura gradevole e pulita. Già godibile, saprà entusiasmare nel tempo con un ulteriore affinamento. Fermentazione in acciaio, poi sosta in bottiglia per 24 mesi.

Orvieto Classico Superiore Vendemmia Tardiva Pertusa 2017 CANTINA CUSTODI
grechetto 40%, procanico 30%, drupeggio 10%, malvasia 10%, sauvignon 10% - 13% vol.

Da Canale, appena a sud della rupe, la vista sul Duomo è impareggiabile: un contesto di terreni vulcanici che riassume tutti i caratteri della genesi del complesso dei Vulsini. Le giovani Laura e Chiara proseguono nel solco tracciato da papà Gianfranco, una figura fondamentale e una vita dedicata ad Orvieto e all'Orvieto. Oggi che tutto è in mano alle figlie alcune etichette guardano a un orizzonte più internazionale, ma la profonda dedizione che continuano a riservare all'Orvieto Classico e ancor più al Pertusa rappresenta l'attaccamento alle proprie radici. Splendido il colore ambrato, brillante e luminoso. Si svela con immediatezza con un profumo assai gradevole, contrassegnato da sentori di frutta candita, dattero, fico secco, su un sottofondo di miele e marron glacé. L'improvviso cambio di tono propone scorza di agrume, fiori di lavanda, spezie dolci, nocciola tostata e mandorla. Il sorso è elegante, dalla dolcezza non invadente, ben equilibrato per il susseguirsi di morbidezza e freschezza, che nel finale si fondono in una netta vena sapida. Lunga persistenza con coerenti ritorni retrolfattivi. Fermenta in acciaio e poi riposa in barrique per 2 mesi.

Orvieto Classico Superiore Vendemmia Tardiva Donna Armida 2014 CARDÈTO
procanico 45%, grechetto 40%, verdello 15% - 12,5% vol.

Al suo sessantesimo compleanno, la cantina ha attraversato e raccontato la storia enologica e sociale di un'intera comunità, dalla nascita della denominazione a oggi, tenendo sempre ben presenti i valori di cui si fa ambasciatrice. La sapienza e la cultura contadina non sono mai state messe da parte. La produzione di questo vino lascia intendere perfettamente questa filosofia: poche bottiglie a fronte di un cospicuo investimento. Le parcelle da cui arrivano le uve sono varie, in prevalenza su terreni con argille plioceniche e suoli vulcanici. Oro lucido con nuance bronzo. La proposta olfattiva elargisce accenti stramaturi e delicatamente iodati da botrite, che impreziosiscono un corredo di macedonia nostrana ed esotica, ben assortito con camomilla, erbe campestri e un soffuso sentore di marzapane. Palato avvolgente, stimolato da freschezza senza cedimenti e sostenuto da sapida persistenza; la dolcezza contenuta scompare nel finale, che assume un tono blandamente amaricante. Fermentazione in acciaio e sosta di un anno in bottiglia.

Orvieto Classico Muffa Nobile Pourriture Noble 2014 DECUGNANO DEI BARBI
grechetto e procanico 60%, sauvignon 30%, sémillon 10% - 13% vol.

La presa di coscienza che la muffa in condizioni particolari non rappresentava il peggiore dei mali si verificò a Fossatello, piccola frazione di Orvieto a nord del lago di Corbara. Claudio Barbi, bresciano di origine, arrivò a Orvieto nel 1973, in un vecchio podere abbandonato, chiamato Decugnano, dai terreni sabbiosi con una miriade di piccole conchiglie bianche. Fu amore a prima vista. Grande amante dei vini francesi, la storia l'ha consacrato come uno dei più audaci visionari del territorio, che proprio qui ha trovato la possibilità di produrre un vino in stile Sauternes. Nel 1981 dà vita alla Pourriture Noble, probabilmente il primo vino realizzato in Italia tramite la muffa nobile. Oggi il figlio Enzo prosegue l’opera.

I toni caldi dell'ambra affascinano già alla vista. Preludio olfattivo didascalico per la tipologia, tutto giocato sui toni di frutta matura lievemente disidratata, confettura di albicocche, mandarino, gelatina di pere, che si sposano a fiori di ginestra e zenzero candito; un profilo silvestre svela sbuffi di macchia mediterranea e suggestioni salmastre. Setoso e sinuoso al palato, la guizzante freschezza è pienamente avvolta dal connubio di dolcezza e morbidezza; aromi iodati nella pronunciata persistenza. Fermenta in acciaio e affina un anno in bottiglia.

Orvieto Classico Superiore Vendemmia Tardiva 2016 TENUTA DI SALVIANO
grechetto 55%, sauvisnon 30%, viogner 10%, procanico 5% - 13% vol.

Il castello di Titignano, sede della Tenuta di Salviano, è un minuscolo borgo sulla sponda meridionale del lago di Corbara, una terrazza panoramica da cui si scorgono le vigne in gran parte comprese all'interno del Parco Nazionale Fluviale del Tevere. La famiglia dei Marchesi Incisa della Rocchetta ha sempre fatto dell'eccellenza un tratto distintivo. Nel profondo piano di riorganizzazione aziendale che ha interessato l'intera gamma produttiva, questo vino rimane tra i punti fermi. Le uve provengono solo dalle porzioni dei vigneti limitrofe al lago, dove le condizioni microclimatiche sono ideali per lo sviluppo della muffa.

Color topazio con riflessi vivaci. Un lento crescendo di profumi scopre nuance di composta di pere e miele millefiori, poi origano e fiori di campo; sostando nel calice, sviluppa sensazioni di pasticceria, con un immancabile tocco di zafferano. Dolcezza e freschezza viaggiano in simbiosi, rendendo il palato equilibrato; la progressione si afferma avvolgente, grazie alla generosa carica densamente fruttata. Buona la persistenza, che invoglia a un nuovo sorso. Fermentazione in acciaio e sosta in bottiglia per 6 mesi.

Orvieto Classico Superiore Muffa Nobile 2016 PALAZZONE
grechetto 50%, sauvignon 40%, procanico 10% - 12,5% vol.

I vigneti e la cantina si trovano a Rocca Ripesena, a nord di Orvieto. La parte più alta della collina è una placca tufacea, mentre l'argilla con leggere infiltrazioni vulcaniche costituisce il terreno che digrada verso est. Colpisce in questo luogo la luce, intensa e viva, con il riverbero sui terreni chiari e il contrasto con le alture brune del tufo, avvolte dal verde dei castagni. | vini sembrano essere immuni al trascorrere del tempo: muffati prodotti negli anni Novanta sono ancora in forma strepitosa, come se Giovanni Dubini avesse trovato la formula dell'eterna giovinezza.

Nel calice ci sono cristalli di topazio in forma liquida. Profumo pronunciato, giocato sui toni più classici della tipologia, dallo zafferano allo iodio, passando per la frutta disidratata; alterna cenni di zenzero candito ed erbe balsamiche essiccate. Lo spessore gustativo coniuga potenza ed eleganza, è dolce e suadentemente morbido, con il contributo della sferzante sapidità; il ritorno della freschezza rende pulito il sorso al termine della lunga persistenza. Fermenta in barrique, poi sosta in acciaio e in bottiglia per un anno.

Poggio Forno 2015 ENRICO NERI
grechetto 50%, sauvignon 50% - 15% vol.

Le colline di Bardano sono morbide, con esposizioni anche a mezzogiorno e suoli principalmente argillosi. Enrico interpreta alla lettera questo contesto, presentando vini sempre molto concentrati, dalla struttura rilevante che ammicca a profili più meridionali. Del resto, Poggio Forno è sinonimo di collina molto calda.

Dorato intenso con riverberi ramati, di ottima vivacità. Colpisce la nettezza delle note da botrite, peculiarità sintomatica delle ottime annate. Quindi declina suggestioni di pesca sciroppata e ananas, cedro e arancia canditi, nocciola tostata e miele di acacia; più sottile è il profumo di mimosa, in un'aura di incenso e cardamomo. L'assaggio stupisce per la ricchezza d'insieme e l'equilibrio tra le componenti. La vigorosa freschezza stempera e imbriglia la morbidezza calorica. Lunghissima la persistenza, su una scia agrumata e speziata. Fermenta in acciaio, dove matura per un anno, poi ancora un anno in bottiglia.

Muffo 2015 SERGIO MOTTURA
grechetto 100% - 13% vol.

“Quello del Grechetto" è la definizione che Sergio utilizza per connotare la sua attività. L'azienda è situata nel Lazio, in quella porzione che prevede anche la produzione dell'Orvieto. Il vino è inquadrato come Lazio Igt perché si utilizza solo il grechetto, ma rientra a pieno diritto, sia geograficamente sia per le sue caratteristiche, nel novero dei muffati orvietani. | vigneti che da Civitella del Lago si estendono verso l'oasi naturalistica di Alviano si giovano dell'umidità del fondovalle per avere garantita la proliferazione delle spore.

Ambra brillante, luminoso, lento nei movimenti. Un caleidoscopio di sfumature odorose: zafferano, fico e albicocca disidratata si fondono a sensazioni di miele, fiori essiccati e foglie di tè. La crema inglese e la vaniglia impreziosiscono una proposta olfattiva eccellente. Assaggio composto, contraddistinto da eleganza e finezza. Mirabile è la sinergia tra la dolcezza e la dotazione calorica, compenetrate a freschezza e sapidità. Lunga e coerente persistenza. Dopo la vendemmia le uve sono lasciate appassire in fruttaio, dove si crea lo sviluppo della botrytis cinerea. Fermenta in acciaio e matura in barrique per un anno.

Tratto da Vitae dell'AIS - Scritto da Gianluca Grimani